lunedì 20 dicembre 2010

Con gli studenti, sfidando il movimento a discutere, a crescere insieme.

Davide Ferrari

Il Ministro Gelmini ha visto approvata dal Parlamento la sua Legge sull’Università. Un voto grave, che si è sperato di poter evitare fino all’ultimo, legato com’era alle vicende della fiducia all’intero Governo. Una sconfitta per chi crede nella formazione pubblica e nella ricerca. Una sconfitta più amara se la si unisce a quella più generale sul quadro di Governo.
Ma la partita non è chiusa. Intanto la “riforma”, se appare gravissima nell’impianto, è in larga misura da concretizzare in un arcipelago vasto di decreti attuativi, che possono essere terreno di denuncia e di proposta per l’opposizione, anche alla luce delle indicazioni preziose della lettera di Napolitano.
Eguaglianza delle opportunità territoriali e sociali, attuazione delle volontà del Parlamento di garantire un finanziamento adeguato al sistema universitario, sono due terreni indicati critici dal Presidente della Repubblica sui quali la battaglia deve proseguire.
Ma il punto più rilevante, nel “quadro” del nostro campo, non è tanto quello parlamentare ed istituzionale, dove pure l’impegno c’è stato e molto efficace.
E’ nell’esplosione di un movimento degli studenti di dimensioni vastissime.
Vedremo come saprà reagire all’approvazione della Legge.
Intanto ha rappresentato il fatto nuovo di questi mesi, ha dato sostanza e visibilità ad un disagio sociale profondissimo che è di molte parti della società.
Non a caso si è innescato contro l’attacco di Berlusconi e Gelmini, letto, con chiarezza, come la volontà di portare indietro una storia di eguaglianza, sempre relativa per altro, di accesso e di opportunità.
Stupisce che, anche nel centrosinistra, fra chi ci è vicino, ancora vi sia chi stenta a vedere ancora nella politica del Governo questo intendimento e come si sia sviluppato proprio sul terreno della formazione. Anzi, vi è chi si stupisce dell’iniziativa degli studenti, non ritrovandovi motivazioni sufficienti nell’articolato della Legge.
Il movimento delle università, invece, preparato, da un versante, dalle lotte ramificate e propositive dei ricercatori, e, dall’altro verso, dalla ripetuta serie di manifestazioni degli studenti medi negli anni di Gelmini, ha capito bene la posta in gioco, ed ha saputo darsi forza e modalità comunicative tali da diventare, immediatamente, un soggetto politico al centro del confronto in atto.
Il movimento è diventato rapidamente, in autonomia e sul suo terreno, un interlocutore dell’opposizione democratica ed un formidabile agente di delegittimazione per un Governo ed un Premier che non si stancano di ripetere, con l’arrogante demagogia di un regime, la propria investitura elettorale, intesa come plebiscitaria.
Proprio la dimensione del movimento ha reso necessaria una discussione strategica al suo interno sui caratteri di identità e, in primo luogo -come sempre è avvenuto- sulle forme di lotta.
I fatti di violenza accaduti a Roma hanno amplificato e resa più cogente questa necessità, ma già era emersa nelle settimane precedenti.
Diciamo subito che il movimento ha saputo fare lezione di quanto successo, si è reso conto della trappola che la Destra stava tendendo con la polemica sulla violenza studentesca, manifestando pacificamente nei giorni ultimi del voto alla Legge.
Noi siamo con il movimento. Lo saremo nel futuro, che è comune, e che vogliamo sia segnato da un risveglio di consapevolezza sui gravi arretramenti che il Governo sta determinando nella condizione di tutta l’istruzione pubblica, nel l’accesso al sapere e quindi della democrazia .
E’ da questa collocazione, inequivoca, che manteniamo ora, quando è passata la boa della Legge e del voto di fiducia, che avanziamo una sfida al movimento, mettendoci a disposizione per un confronto vero di crescita reciproca.
I punti critici ci paiono evidenti e pure, ancora e sempre, da discutere, da chiarire.

1)Il movimento è fatto di giovani che già vivono o che temono la precarietà delle condizioni di lavoro, ma è nato su un terreno non meno radicale e “politico”: quello della difesa della scuola e dell’università, del diritto al sapere ed al futuro.
2)E’ da questa luce, mantenendo questa radice che da loro forza e legittimità, che gli studenti potranno svolgere un ruolo critico a 360 gradi della società e delle sue crescenti ingiustizie. Non affogando nell’economicismo, ricercando, in modo generico e un po’ posticcio una propria identità sociale, quasi un proprio essere “classe” , sotto la cupola della verissima e grave realtà del precariato. Così si va fuori dal seminato e , presto, prestissimo, si può arrivare a posizioni minoritarie e negative.
3)Dopo Seattle, una cronaca carsica dei movimenti, ha unito l’antagonismo a forme di lotta, rivelatesi sempre perdenti, tutte basate sulla dichiarazione di voler superare, “sfondare”, linee rosse, esclusioni fisiche imposte, sul terreno dai governi e dalle polizie. In Italia, ma non solo, la mancanza di sbocchi, di rappresentanza, di contrattazione del lavoro ha fatto il resto, sembrando indicare in gesti eclatanti di denuncia- le occupazioni ripetute delle stazioni e delle autostrade, la “salita” drammatica delle gru, una sorta di peculiare comunicazione, in alcuni casi efficace, in molti tragica.

Gli studenti sono sotto attacco ma non sono degli emarginati, hanno un mondo di argomenti da manifestare, non “linee rosse” contro cui andare a sbattere. La mimesi di altri movimenti ha in più casi portato male, incubato violenze pericolose .

Lo abbiamo rilevato criticamente, con la modestia delle nostre possibilità di intellettuali organici della democrazia, nel Dicembre che abbiamo alle spalle, mentre sembrava prevalere nel movimento una tesi giustificazionista di violenze inaccettabili, in nome dell’incontenibile disagio sociale.
E' stata importante, anche se inevitabilmente discussa, la lettera al novimento di Saviano su La Repubblica.
Abbiamo visto, a seguire, con grandissima soddisfazione, nelle manifestazioni più recenti, e positive, l’apparire di slogan quali “Voi siete dietro la linea rossa, noi nella città” che spostavano totalmente l'asse, dalla contrapposizione frontale alla rivendicazione della libertà di manifestare pacificamente.
Segno che il risveglio che è avvenuto può proseguire, può liberare coscienze ed energie. I giochi non sono fatti, fra gli alfieri delle proprie licenze e della repressione degli altri, e la migliore gioventù, che vuole studiare e domani lavorare con il sapere e per questo non si rassegna, pretende scuole e università aperte e libere.